Era inverno, mi ricordo mio nonno, seduto vicino allo spolert (cucina a legno caratteristica della tradizione friulana, attorno alla quale la famiglia si riuniva per cucinare, scaldarsi e stare in compagnia) a “spanoglà le panolis” (sgranare le pannocchie) che servivano per fare la farina di mais e poter preparare la polenta.
Mia mamma racconta che la mangiava imbevuta nel latte, per ammorbidirla, quando oramai aveva troppi giorni e si era indurita.
Considerata l’alimento base della cucina povera contadina, ha origini antiche, prima del 1492, quando Cristoforo Colombo portò con sé dalle Americhe un sacchetto pieno di semini gialli.
Il più grande cuoco del Patriarcato di Aquileia, Mastro Martino, nel suo libro “DE ARTE COQUINARIA”, parla del “PULMENTUM”(polenta) come di un piatto che va servito sulla tavola di un principe, fatto a metà del 1400, di orzo, lino, miele, coriandolo e sale.
Ed è dopo, con l’arrivo di Colombo che arrivò anche il mais, che per il suo basso costo, sfamò intere popolazioni colpite dalla carestia.
Per me, cresciuta con altri regimi alimentari, far visita ai nonni la domenica, significava trovare a cuocere sullo spolert, un paiolo ricolmo d’acqua bollente e salata, nella quale mia nonna versava la farina a pioggia e per circa un’ora, la mescolava con un bastone di legno chiamato “Cannella”e la portava in tavola su un’ asse circolare, coperta con un canovaccio e tagliata a fette con un filo di cotone dal basso verso l’alto. A noi bambini piaceva mangiarla con il salame all’aceto, ma può essere accompagnata a qualsiasi piatto.
Mi raccomando però… non fatevi mai mancare un bicchiere di vino rosso, magari uno “Schippettino”… Ma questa è un’altra storia.